
A Patino, che è scomparso ottantaseienne a Madrid, l’Ancr dedicò dieci anni fa uno speciale spazio nella rassegna “Cinema e guerra di Spagna/2/ L’ombra lunga della guerra civile spagnola”, sottotitolando per l’occasione in italiano due dei suoi più importanti documentari, Canciones para después de una guerra e Caudillo. Il nostro “Nuovo Spettatore” realizzò poi due interviste a Patino – sul rapporto del regista con il cinema italiano e su quattro suoi film dedicati al tema cinema e guerra civile spagnola – pubblicate sul numero 12 della nuova serie (2009 – 2010).
Potremmo anche dire senza esagerazioni che Patino è un po’ in Italia una nostra scoperta: non a caso i suoi film, anche quelli altrove famosissimi, come Canciones, non hanno circolato affatto e, d’altre parte, non ci risulta che la sua scomparsa abbia avuto anche solo un minimo rilievo sui nostri media. Il raffinato instancabile indagatore della complessità semantica dei documenti audiovisisvi, il pioniere del “Nuevo Cine Español” che sceglie alla fine una dimensione produttiva artigianal-clandestina e un’estetica paradocumentaristica come modalità per continuare ad essere un autore di opposizione nei lunghi decenni franchisti è dunque in Italia tutto ancora da scoprire e certamente ne varrebbe la pena…
Patino, invece, l’Italia e il suo cinema li aveva scoperti tanti anni fa, nel corso della sua formazione e poi nelle sue attività di promotore del rinnovamento del cinema spagnolo. Al nostro collaboratore Zosimo Yubero Prieto dichiarò in un’intervista del 2010: “[…] Tra i miei più bei ricordi in Italia c’è il raduno – omaggio alle Brigate internazionali tenutosi a Cuneo nel 1966. Avevo appena finito Nueve cartas a Berta e volevo proiettarlo durante l’incontro. C’ervamo organizzati per andarci grazie agli amici italiani, tra cui Paolo Gobetti. Me lo ricordo bene Paolo, era stato gentilissimo e mi aveva invitato a ritornare”. Vorremmo riprendere l’invito di Paolo Gobetti e far tornare in qualche modo Patino in Italia cominciando da una rassegna di alcuni suoi film nel quadro dell’ottantesimo della Guerra civile spagnola (a cui tanto si è dedicato, in forme particolari e diverse, nella sua attività di regista).
Offriamo per intanto qui sotto un brevissimo profilo biografico di Patino e la scheda del film Canciones para después de una guerra preparata per il catalogo della rassegna del 2007.
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Basilio Martín Patino
Basilio Martín Patino nasce a Lumbrales nel 1930. Si laurea a Salamanca in lettere e filosofia; collabora intanto alla fondazione del Cineclub universitario, alla rivista “Cinema universitario” e alle prime Conversazioni Cinematografiche Nazionali del 1955, che saranno poi conosciute con la denominazione di “Conversaciones de Salamanca”, riferimento fondamentale per il cinema spagnolo, che incoraggerà i registi ad esprimere la loro opposizione al regime sullo schermo. Il manifesto inaugurale della prima conversazione convocata da Patino affermava tra l’altro: «Il cinema spagnolo vive isolato: isolato, non solo dal mondo, ma anche della nostra propria realtà. Mentre il cinema di tutti i paesi incentra il suo interesse sui problemi che la realtà pone ogni giorno, servendo così ad una essenziale missione di testimonianza, il cinema spagnolo continua coltivando luoghi comuni consolidati…Il problema del cinema spagnolo è che non è questo questo tipo di testimonianaza che il nostro tempo richiede dalle creazioni umane». Patino si diploma poi in regia alla Scuola Ufficiale di Cinematografia di Madrid con un’opera intitolata Tarde de Domingo.
Agli inizi degli anni ’60 dirige due cortometraggi. Il suo primo lungometraggio, Nueve cartas a Berta (1965), sui paradossi e sugli espedienti cui è costretta nel periodo franchista la società spagnola, un ritratto formidabile della città di Salamanca, vince la “Concha de plata” al festival di San Sebastián e conferisce all’autore una rinomanza internazionale. La pellicola sarà considerata la più importante del “Nuovo Cinema Spagnolo”.
Patino si dedicherà in seguito, alternativamente, al documentario in molte chiavi e declinazioni e alla fiction. Sul fronte dei documentari realizza nel 1971 Canciones para después de una guerra,un viaggio nella Spagna del dopo guerra che intreccia canzoni dellìepoca e immagini desunte soprattutto dai cinegiornali di regime, un contrappunto fra immagini e suoni da cui emergono il non detto ufficiale e la memoria collettiva: grande successo a partire dal 1976, quando il film potrà finalmente circolare. Negli stessi anni realizza clandestinamente, con l’ausilio di pochissimi amici, Queridísimos verdugos (1973), basato sulle interviste fatte a boia e familiari di giustiziati dell’epoca, e Caudillo (1974), prima parte di un documentario di montaggio su Franco (poi non continuato) che raggruppa tematicamente spezzoni fi film e materiali diversi, in cui l’autore scova nuovi imprevedibili risvolti. Per quanto riguarda la fiction ricordiamo Del amor y otras soledades del 1968, Los paraisos perdidos del 1985 e Octavia del 2002. Fra i film di grande rilievo realizzati da Patino dopo la fine del regime franchista sembra in particolare indicativo degli interessi del regista (con tratti che potrebbero sfiorare l’autobiografico) Madrid (1987), film di finzione in cui è però centrale la questione delle possibili funzioni del documentario.
Oltre alle riprese che serviranno per l’installazione video che Patino predispone nel 2010 per il padiglione spagnolo dell’Esposizione di Shangai occorre in particolare ricordare poi l’impegno straordinario ed entusiastico di Patino anche come occhio del cinema in occasione del concentramento alla Puerta del Sol di Madrid dei manifestanti del movimento 15M e poi nel corso delle attività della “Acampada”, che porterà al costituirsi di una straordinaria esperienza di di democrazia diretta nel governo della città. Con le immaginoi girate neò 2011, fino allo scioglimento della “acampada”, Patino realizzerà il film Libre te quiero ( 2012 – il titolo è 1quello della canzone cantata anche nel film da Amancio Prada sui versi di Agustín García Calvo).
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Canciones para después de una guerra di Basilio Martín Patino; sc.: Basilio Martín Patino, José Luis García Sánchez; f.: José Luis Alcaine; mont.: Basilio Martìn Patino, José Luis Peláez; mus.: canzoni dell’epoca, Manuel Parada; p.: Julio Pérez Tabernero; Spagna, 1971, d.: 115′.
Patino dice del film che è la radiografia di un’epoca, il ricordo degli anni che hanno segnato la sua fanciullezza. Le canzoni evocano sentimenti e creano uno stato quasi ipnotico.
Costituito da ritagli di giornali, riviste e fotografie d’epoca, da immagini ricavate dal “NO-DO” (la testata cinegiornalistica del regime, autentica memoria cinematografica autorizzata che non descrive il mondo reale, ma un universo costruito sulla base delle linee direttrici imposte dal franchismo) e da altri archivi ufficiali, da spezzoni di film a soggetto e programmi televisivi, in stretto contrappunto con inni di regime e canzonette popolari, talvolta con l’uso di viraggi dell’immagine filmica per ottenere ulteriori effetti cromatici, con l’aggiunta in alcuni punti di voci off elaborate espressamente per supplire alle cronache d’epoca, il film serve a creare determinate sensazioni in un gioco di complicità con i sentimenti dello spettatore. Non è una denuncia diretta contro il franchismo, ma una rilettura implicitamente critica del discorso ufficiale franchista, una specie di restituzione della verità della società spagnola attraverso l’uso della metafora e dell’ironia. L’intersecarsi delle immagini con il suono serve a suscitare emozioni profonde nello spettatore; il film nasce da una combinazione di segni visuali e sonori, di contrasti fra le immagini del franchismo e le canzoni che la gente cantava per sopravvivere nella miseria e nella frustrazione.
Il film viene proibito in Spagna dalla censura fino al 1976. Nel 1971 la commissione di censura in un primo momento impone una serie di cambiamenti. Una volta effettuati questi, la pellicola viene autorizzata, ma, pochi giorni dopo, è proibita in territorio spagnolo, così come ne viene vietata l’esportazione: questo per punire il fatto che la pellicola fosse stata proiettata senza tagli, prima dell’esame della commissione di censura, al festival di San Sebastián.
Il film racconta attraverso trentotto canzoni quindici anni della storia spagnola, dal 1939 (la fine della guerra) al 2 aprile 1954 (il rimpatrio della División azul). Nella prima parte del film troviamo, per esempio, “Ya hemos pasao”, tipica canzone madrilena chotis dal tono spavaldamente fascista e provocatorio, che pretende di farsi gioco della parola d’ordine repubblicana “No pasaran”, ma che Patino intreccia con malinconiche immagini degli sconfitti e con scene di giubilo dei soldati vincitori.
La stessa spavalderia irresponsabile del regime è efficacemente adombrata nella canzone “La gallina papanatas”, canzone antinazista del “secondo momento”, quando la sconfitta dei vecchi alleati ormai si profila (in contrasto con la posizione germanofila del “primo momento”), nella quale le uova deposte dalla gallina sono le bombe lanciate dai nazisti e in cui Hitler viene adombrato in un galletto attaccabrighe e litigioso.
Anche “La bien pagá”, una canzone che tratta del disamore per una prostituta, di un amore comprato e poi rifiutato, diventa rivelatrice nel contrasto con le immagini di donne stremate che hanno perso i figli, i mariti e i fratelli o che sono alla ricerca disperata dei propri cari, oltre che di un piatto da mangiare. E diventa in qualche modo una irridente denuncia rivolta contro quei settori sociali che avevano appoggiato Franco nel ‘36 e che, dopo il 1939, raccolgono da un regime e da un dittatore che li avevano corteggiati con promesse di benessere per tutti miseria, sofferenza e la solitudine degli innumerevoli bambini orfani che abitano le strade.
Il film ha un’impostazione di fondo profondamente contraria al regime e l’immagine del franchismo ne esce, pur senza nessuna esplicita dichiarazione, quasi ridicola, a causa dell’evocazione caricata che nel film si fa dei luoghi comuni del regime, come l’ispanità portata all’eccesso, l’amore per la Spagna imperniato sul discorso della razza, anche di quella gitana, resa per esempio stereotipo da Lola Flores in “Lerele”: sono i luoghi comuni del franchismo che le canzonette dell’epoca riflettono ed enfatizzano in facili melodie e che Patino finisce con il rovesciare nel suo film contro l’immagine tronfia di sé e della sua Spagna che il regime ribadisce.