
Difficile davvero fermare il vortice di ricordi che affiorano in molti di noi dell’Ancr quando veniamo a sapere della scomparsa di Gianni Alasia.
Di lui conosciamo soprattutto i racconti, i suoi meravigliosi racconti delle vicende di un incontenibile ragazzino antifascista e di un giovanissimo partigiano, di un sindacalista capace di uscire dagli schemi e di leggere le metamorfosi che spiazzano nella storia dell’organizzazione del lavoro e di capirle in anticipo con nuovi strumenti di analisi e nuovi approcci.
Poi, lo sappiamo, è stato tante altre cose, eponente della sinistra del Psi, fra i fondatori del Psiup e consigliere comunale, provinciale, assessore al lavoro per la Regione Piemonte, deputato. Ma noi nel nostro archivio di di testimonianze videoregistrate, abbiamo il privilegio di poterlo riascoltare, con i suoi aneddoti indimenticabili e i giudizi nettissimi, e rivedere, con i suoi sorrisi a illuminare il suo registro ironico e i suoi gesti misurati da grande attore, soprattutto quando racconta, nella sede dell’Ancr, dell’8 settembre a Torino, degli scioperi durante la guerra, da quelli del marzo ’43, su cui ha scritto, con Mario Giovana e Giancarlo Carcano, Un giorno del ’43, a quello pre insurrezionale del 18 aprile ’45; oppure quando ci ha fatto penetrare e ci ha guidato, con i nostri due operatori, nelle immense officine Savigliano già declinanti ma ancora attive, spiegando il lavoro, i prodotti, interrogando con sapienza i sapienti uomini all’opera. E poi ci sono anche le interviste a casa sua sul suo archivio di foto e documenti, con il privilegio di poter incrociare e salutare Pierina, il suo angelo tutelare.
Che dire di Gianni che non sappia di ‘coccoddrillo’ o di retorico riconoscimento del suo indubbio peso intellettuale e politico nella sinistra torinese, dato fra l’altro che sono tonalità molto lontane dalla sua schiettezza anche un po’ irriverente? Almeno due cose.
Ci piace ricordare che, quand’era segretario della Camera del lavoro di Torino, contribuì a promuovere i “Quaderni rossi”, come ci ha anche raccontato, entrando in sintonia con una nuova generazione di ricercatori militanti, allievi di un grande maestro, Raniero Panzieri, eterodosso nella rilettura di Marx e nella pratica dell’inchiesta come modalità conoscitiva che ridà la parola agli operai sulla loro condizione: sicuramente in quella sua scelta, che gli fu anche contestata, di aprire il sindacato a nuove prassi pesò il suo antidogmatismo costitutivo, il suo rispetto per gli esseri umani e la sua voglia incessante di raccontarli per quello che sono, traendo poi conseguenze, così, dal concreto all’astratto…
Vogliamo dire inoltre che Gianni, è, oltre che nei nostri cuori, nei nostri film (parecchi), anche nell’ultimo, I giorni di Torino, che esce proprio un giorno dopo la sua scomparsa. C’è di positivo che Gianni continua così a parlarci e a ricordarci che Torino ha avuto a lungo una sua sinistra capace di dure battaglie, ma pronta, all’occorrenza, a rimettersi in gioco e ad interpretare con rinnovata lucidità vite e speranze di tanti torinesi vecchi e nuovi.